Severino Pagani
El
Tecoppa
di Edoardo
Ferravilla |
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Il Tecoppa è una figura singolare, creata da Edoardo Ferravilla sulla fine dell'Ottocento e nei primi anni del Novecento; è divenuta subito popolare. È stata creata per il teatro, fra i molti personaggi pensati e realizzati dal singolare attore, il quale amava scegliere le sue figure fra la gente di bassa umanità, figure e tipi capaci di colpire la sua fervida fantasia. Il Ferravilla amava queste figure, le studiava, le accarezzava nella mente, le coltivava lungamente nell'animo, le modellava nello spirito immaginoso, caustico, satirico, direi, in un certo senso, portiano, sebbene per molti altri aspetti la satira di Ferravilla fosse ben diversa da quella del nostro grande poeta; alle volte la sua satira rasentò il cinismo. Ho detto che le figure ideate dal Ferravilla rimanevano a lungo nella sua mente, nel suo spirito; poi, quando le sentiva, ben modellate e, in un certo senso, vive, le portava sulla scena, le presentava al suo pubblico, e se le vedeva aderenti alla realtà non le mutava più; quelle figure rimanevano sempre uguali, col passare del tempo, col moltiplicarsi delle repliche delle varie commedie. Cosi è stato anche del Tecoppa; il Ferravilla, a
differenza di altri personaggi, lo presentò in più di una commedia, in più di
una farsa: cambiavano le situazioni, le parole; però la figura, il
personaggio rimaneva sempre uguale, sempre lo stesso. |
El Tecoppa |
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Il Massimelli, il Caprotti, lo zio Camola, il maester Pastizza, il sôr Panera, ecc. si presentavano in un solo lavoro, in un solo vaudeville, il Tecoppa no: l'abbiamo visto ed ascoltato più volte, ma sempre nella stessa veste: cilindro ammaccato in testa, lunga palandrana nera, panciotto a vari colori, pantaloni neri o a scacchi, sdrusciti; positura un poco dinoccolata, gesto misurato, parlata scarsa, spesso ingarbugliata per il molto bere, così l'abbiamo ascoltato in parecchie combinazioni. Il Ferravilla gli creò attorno diverse situazioni; lo presentò come famoso e popolare cocchiere pubblico, il famoso brumista, come giocatore del lotto, lo fece imbroglione d'occasione, o falsario d'abitudine, ce lo presentò come accusato in pretura; però, sotto tutti i diversi aspetti e avventure, il Tecoppa rimase sempre lui, il piccolo farabutto dalle modeste imprese ' dalle minuscole truffe, furbo in apparenza, ciurmatore, ladro di piccole cose, e in fondo simpatico, anche perché costantemente lontano dai fatti di sangue. Per questo il Tecoppa scese dal palcoscenico e entrò nella vita usuale della città, limitandosi però a starsene al margine, anche, se per caso, egli veniva in piazza del duomo ed entrava in galleria. |
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Edoardo Ferravilla
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Forse lo stesso Ferravilla,
creando e dando vita al personaggio, non pensava a tanta popolarità. Popolarità favorita
istintivamente dai molti imitatori dello stesso Ferravilla, imitatori di
quella bassa società da lui studiata e abilmente interpretata e, poi, imitata
anche da altri. Dobbiamo però essere sinceri e aggiungere che nessuno dei
molti imitatori, nessuno dei troppo facili creatori di scene, più o meno shoc
che, è riuscito a comprendere, in fondo, lo spirito del personaggio. Gli
imitatori, senza accorgersene, ne favorirono, sì, la popolarità, ma solamente
in superfice; eppure anche il Tecoppa potrebbe interpretare, molte situazioni
d'oggi, ma occorrerebbe la grande possibilità di capire e di intuire, come
l'aveva il grande Ferravilla. Come nacque il personaggio
del Tecoppa?... Ferravilla amò sempre il
teatro, ancora prima che alle scene si votasse come attore stabile. Frequentava tutti i teatri
d'occasione, anche quelli improvvisati nei cortili delle osterie il sabato o
al pomeriggio e alla sera di domenica, come ancor oggi avviene. |
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Fra i teatri improvvisati da
dilettanti o da professionisti d'occasione, era quello della filodrammatica «
Gustavo Modena » che girovagava nelle corti delle osterie di Porta Ticinese,
con discreta fortuna. Di quel complesso faceva parte
un certo De Toma, fabbro di professione, il quale aveva però una certa
abilità comica; egli era abituato ad un proprio intercalare: « Dio
t'accoppi... Dio te coppa! ». Il De Torna era tipo
curioso: un poco corpulento, ma molto dinoccolato. Gli piaceva il bere e
spesso il suo dire era ostacolato dai molti grappini ingeriti, anche il suo
alito era interrotto da numerosi e rumorosi rutti ad ondate, causati dal
molto alcool ingurgitato e che ora gli torturava la gola e la voce. La figura, il modo di dire e
di fare del personaggio, rimasero assai impressi nella mente del Ferravilla:
rimase a lui impresso anche quel suo intercalare « Dio ti accoppi! ». Anche quando il Ferravilla
arditamente buttò i libri mastri del suo padrino (egli fu allevato dal
ragioniere Giacomo Vigliezzi, apprezzato professionista milanese,
amministratore, fra l'altro, del vecchio Teatro Re) e rinunciò alla
professione a sua volta di amministratore, per diventare attore comico nella
compagnia creata da Cletto Arrighi per far rivivere il teatro milanese, non
abbandonò la figura, coltivata nella sua mente, rinverdita dalle frequenti
scappate al teatro del De Toma. Però ci pensò su parecchi
anni. Il Tecoppa apparve, la prima
volta, in una farsa dal Ferravilla chiamata, Felice Manara; titolo che fu poi
mutato in « Tecoppa e C. ». Lo stesso Ferravilla così definì il suo
personaggio « Tecoppa può essere universale: la sua figura morale, il suo
carattere potrebbero trovar posto in tutte le commedie: egli è l'uomo
strisciante coi ricchi, superbo coi poveri, gaudente e nemico del lavoro, ed
infatti Tecoppa non fu mai iscritto alla Camera del Lavoro ». Il singolare personaggio,
ripeto, fu l'unico fra quelli ferravilliani ad apparire in parecchie farse;
però fu sempre uguale a se stesso: allampanato, un po' curvo, colle mani
nelle tasche dei pantaloni, dall'andatura dondolante sulle esili gambe, cogli
occhi sempre socchiusi e comunque abbassati, il grande naso paonazzo e i
baffoni spioventi, sempre gocciolanti di grappa. Strano miscuglio di generosità
e di viltà, di nobiltà e di bassezza, di furberia e di ingenuità. |
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Tipiche le sue espressioni, alcune maligne, quasi mai licenziose, quasi sempre furbe e mai eroiche: «Meglio essere vigliacchi per mezz'ora che morti per tutta la vita». Ma assai meglio della
parola, valeva il gesto, l'atteggiamento del personaggio. Nessuna bocca potrà
mai imitare l'intonazione del Ferravilla. Per questo piacemi di
ripetere quanto ho già detto e cioè che quasi tutti gli attori del teatro
milanese, professionisti o dilettanti, hanno imitato sulle scene questo
personaggio, ritraendone più le fattezze che lo spirito, in modo che non gli
hanno saputo dare vita, una vita duratura, nel senso giusto della parola,
come ho cercato di spiegare. Del resto è bene ricordare che tutti i personaggi del
teatro ferravilliano sono morti, col loro grande interprete, col loro
creatore. |
Piero Mazzarella
l’ultimo Tecoppa
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Il Tecoppa non visse solamente sulle scene: il Ferravilla - anche questo è bene ripeterlo - pescò i suoi personaggi nella vita del suo tempo, li pescò e li foggiò scegliendoli tutti fra gli individui di non elevata umanità. Il Tecoppa, ancora prima che
Ferravilla gli desse vita e nome, lo si poteva incontrare in qualche rione,
in qualche osteria di periferia; era lui, anche se vestiva in foggia diversa.
Lo stesso Ferravilla, come abbiamo ricordato, lo aveva scovato in un'osteria
del subburbio. Anche se non fosse apparso
sulla scena sarebbe rimasto nell'aria di certi bassifondi: anche se non
avesse assunto, una forma, si sarebbe sentito nello spirito, nell'animo di
molti popolani. Non gli occorreva un volto particolare. Ora, forse, il Tecoppa non
potrebbe presentarsi così dinoccolato; se venisse creato or a, si presenterebbe, forse, col cappello
calato sugli occhi e col mitra imbracciato. |
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